Il governo guidato dal Prof. Mario Draghi ha suscitato attese e speranze; a detta di molti qualificati osservatori si tratta del meglio che l’Italia poteva mettere in campo in questo tempo difficile e seriamente preoccupante per l’intera vita del Paese, delle sue componenti sociali, delle sue prospettive economiche, della sua emergenza sanitaria; c’è in gioco il presente e il futuro: quando accade questo non si può che fare appello a quanto di meglio un Paese può tirare fuori dalle sue risorse umane. In particolare è Draghi come persona, professionista, studioso e anche politico (sia pure non di professione) a suscitare sentimenti positivi e fiduciosi per la sua storia e le sue capacità ampiamente dimostrate nei campi in cui ha dovuto cimentarsi. Non si può che unirsi all’ampio schieramento che guarda a lui e al suo governo con simpatia augurando buon lavoro e proficui risultati a breve e a lungo termine viste le tante emergenze nell’emergenza, da affrontare con urgenza e determinazione. Proprio pensando alla mole e alla complessità delle questioni da risolvere e quindi alle priorità che questo governo dovrà affrontare mi sono chiesto (e sommessamente mi permetto di chiedere a Draghi e al suo governo) se ci sarà spazio per le questioni attinenti la libertà religiosa.

Se dovessimo prestare fede ad un’espressione ripetuta spessa dai giuristi si potrebbe dire che occuparsi della libertà religiosa significa occuparsi della madre di tutte le libertà; spesso essa si configura talmente intima, profonda, significativa e produttrice di senso per le comunità religiose da non consentirgli di percepire in modo concreto cosa significa esse liberi quando questa libertà non viene realizzata in modo adeguato. In Italia parlare di libertà religiosa significa parlare soprattutto di minoranze religiose, vale a dire di comunità all’interno delle quali si riconoscono una parte di cittadini accomunati dalla stessa professione di fede; ma nel nostro Paese parlare di libertà religiosa è questione storicamente difficile e per questa ragione le comunità religiose si ritrovano incasellate in una sorta di scala dove ad ogni gradino corrisponde un grado di libertà diverso, un sistema che non riuscendo a garantire pari opportunità e pari dignità di fatto opera delle discriminazioni. Non è possibile in questa occasione dilungarsi molto sulla questione, ma gli addetti ai lavori sanno che è così; e alla fine della scala ci sono comunità prive di qualsiasi forma di riconoscimento. Certo, esistono le garanzie costituzionali per il riconoscimento delle confessioni religiose, ma la loro applicazione è affare politico: vale a dire che solo se c’è una volontà del governo in carica qualcosa si realizza. Questo governo potrà avere una tale volontà? Io vorrei sperare che l’abbia.

Concretamente le cose da fare non sono poi molte e neanche complicate; ci sono diverse confessioni religiose che hanno avviato la trattativa per la stipula di intese ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione, ma da anni queste trattative non fanno progressi perché i governi non hanno neppure rinnovato le appositi commissioni che si occupano di questi affari. Già sbloccare queste trattative porterebbe a fare un passo avanti. E poi ce’è l’annosa questione del varo di una legge generale sulla libertà religiosa che è in cantiere da quattro decenni e che non si è mai trovato il modo di realizzare; ciò che ne consegue è una situazione giuridica a dir poco mortificante perché la legge ordinaria che ancora regola la materia religiosa in Italia è la legge fascista sui culti ammessi del 1929 e il decreto attuativo del 1930: una legge pensata per controllare la libertà può mai essere usata per garantirla?

Un governo come quello che Mario Draghi guida deve per forza maggiore essere coraggioso e lungimirante; potrà/vorrà esserlo anche in materia di libertà religiosa? Io credo che potrebbe esserlo; se vorrà esserlo è altra questione.