In questo tempo di emergenza sanitaria dovuta all’epidemia da Coronavirus si è imposto alla riflessione un tema che sta diventando sempre più significativo: quello della morte e di ciò che nell’esperienza quotidiana è ad esso connesso. Il fatto che i familiari delle persone decedute non abbiano potuto accedere agli ospedali dove erano i defunti e che anche alcuni ministri di culto non hanno avuto il permesso di assistere le persone in fin di vita o defunte, ad esempio, è stato fonte di disagi psicologici significativi per i cittadini coinvolti, qualunque fosse la loro appartenenza religiosa o culturale; e ciò tanto più se si considera quanto i riti funebri e la simbologia connessa giochi un ruolo importante nell’elaborazione del lutto. Il momento della morte è concepito in modi diversi dalle religioni, anche se per tutte rappresenta un passaggio di fondamentale importanza spesso inteso come trapasso ad altra forma di vita; a ciò si aggiunge il fatto che alcune religioni credono che lo spirito del defunto non lascia subito il proprio corpo e altre richiedono uno specifico trattamento della salma accompagnato da specifiche funzioni religiose. Come è noto esistono enormi difficoltà logistiche per soddisfare queste esigenze nelle strutture pubbliche per la quasi totale assenza di spazi dedicati allo svolgimento dei riti di funebri di chi ne avesse bisogno; inoltre, la mancanza di spazi cimiteriali appositamente dedicati costringe, in mancanza di idonei luoghi di culto, a celebrazioni difficoltose e improvvisate.

Si tratta di questioni che l’emergenza ha fatto riemergere in maniera drammatica come tante altre questioni sopite dal torpore della sonnolenza culturale e politica; qui si può solo accennare ai tempi in cui la fede religiosa diversa da quella della maggioranza impediva l’entrata delle salme nei cimiteri e persino lo svolgimento dei funerali. Va detto che il regolamento di polizia mortuaria prevede la possibilità di richiedere la concessione di aree dedicate alle minoranze religiose per la sepoltura; ma se si escludono i cimiteri storici di alcune confessioni religiose presenti in genere nelle grandi città, è molto complicato ottenere dalle amministrazioni locali la dovuta attenzione per queste esigenze. E spesso le lungaggini burocratiche possono richiedere decenni prima di vedere autorizzata una concessione. In un paese democratico e avanzato questo non dovrebbe succedere; ma va anche detto che alle minoranze nessuno ha mai concesso diritti se loro stesse non si sono mosse a rivendicarli. In Italia non si tratta di rivendicare quello che non c’è; ma spesso bisogna puntare i piedi perché quello che è garantito dal diritto venga semplicemente applicato evitando di farlo passare per una graziosa concessione.

  Si sa che in tempi di crisi alcune criticità di sistema diventano più appariscenti e mostrano ritardi atavici sul piano culturale e politico, nonché sul piano della pari dignità dei cittadini, in modo particolare quando questa si esprime nella categoria della libertà religiosa con specifico riferimento alla condizione delle minoranze. Può sembrare strano che in un Paese come il nostro dotato di garanzie costituzionali all’avanguardia e di diverse leggi relativa alla tutela delle minoranze si ponga ancora la questione della libertà religiosa, in particolare in alcuni ambiti di godimento. Il fatto è che l’affermazione in linea di principio di questa libertà se non accompagnata da pari dignità e da pari opportunità dei soggetti interessati rischia di diventare un’astrazione priva di qualunque concretezza; la libertà in generale è tale soprattutto se come tale viene percepita dagli interessati, quindi vissuta nel quotidiano: quella religiosa in particolare con il quotidiano e con le costellazioni di senso esistenziale a cui rimanda ha un rapporto strettissimo. Purtroppo, da questo punto di vista, gli ambiti di libertà in Italia sono stati delineati secondo una scala di riconoscimenti che ha, di fatto e di diritto, sancito una evidente discriminazione nei confronto dei soggetti interessati; e così quelle confessioni religiose che hanno potuto adire ai riconoscimenti più alti possono vedere applicati i loro diritti, mentre altre confessioni religiose li vedono restringersi progressivamente in relazione al gradino giuridico occupato fino a diventare invisibili. Così il diritto diventa privilegio discriminante non solo per i vivi, ma anche per i morti.

Prof. Carmine Napolitano 
Presidente Federazione Chiese Pentecostali in Italia