A St. Niklausen in Svizzera, dal 26 al 29 giugno, presso il convento domenicano Bethanien si è svolta la conferenza annuale dell’EPTA, l’importante circuito associativo dei teologi pentecostali europei che si muove nell’ambito della PEF – la Federazione pentecostale europea. L’associazione è stata fondata nel 1979 ed è attualmente presieduta dal Prof. William Kay dell’Università di Chester e fondatore del Centro di Studi Pentecostali e Carismatici dell’Università di Bangor, in Gran Bretagna. L’associazione ha l’obiettivo di promuovere lo sviluppo e la diffusione della teologia pentecostale e adotta anche una confessione di fede.

Quest’anno la conferenza era dedicata alla posizione dei pentecostali nei confronti dell’ecumenismo come si evince dal titolo – Pentecostalism: an Ecumenical Challenge. Proprio questo tema ha suggerito il coinvolgimento di altri due soggetti associativi nell’organizzazione e nella conduzione della conferenza: l’EPCRA (un’associazione di ricerca pentecostal/carismatica) e una comunità carismatica cattolica: Chemin Neuf. Complessivamente erano presenti almeno ottanta studiosi provenienti da diversi Paesi, in particolare del centro e del nord Europa. Per la prima volta ha partecipato a questo tipo di incontro una delegazione italiana composta da membri dello staff della Facoltà pentecostale di Scienze religiose nelle persone del preside (past. dott. Carmine Napolitano), del vice preside (past. dott. Paolo Mauriello) e del coordinatore didattico (dott. Stefan Bachmann). La cosa ha suscitato una certa curiosità da parte degli intervenuti perché in Europa c’è una diffusa e per certi aspetti fondata impressione che nel mondo pentecostale italiano non ci siano istituzioni o persone in grado di partecipare a confronti di questo tipo. Anche se il past. Napolitano è membro dell’EPTA dal 1998.

Gli interventi sono stati tutti di un certo rilievo e spessore evidenziando come oggi, più che in passato, parlare di ecumenismo è cosa complessa; la crescita e la diffusione dei movimenti pentecostali e carismatici stanno contribuendo anche ad una ridefinizione dell’ecumenismo e delle sue finalità costituendo, appunto, una vera e propria sfida per le categorie tradizionali e per le chiese che a quelle categorie si rifanno. Di particolare interesse sono stati gli interventi di due esponenti storici dei dialoghi internazionali tra cattolici e pentecostali: Peter Hocken e Mel Robeck. Altri interventi hanno fatto il punto sul dialogo tra pentecostali e area protestante e in generale sull’importanza e la necessità del coinvolgimento dei pentecostali nei processi ecumenici per evitare di essere scavalcati da quello che accade e nello stesso tempo per essere testimoni propositivi e assumere una responsabilità teologica e spirituale.

La delegazione italiana ha offerto un feedback sulla questione così come essa è vissuta in Italia; in particolare ha insistito sul fatto che spesso in Europa c’è una percezione delle posizione pentecostali italiane sull’ecumenismo non sempre contestualizzate in modo preciso. Ciò riguarda soprattutto i rapporti con la chiesa cattolica che in Italia sono piuttosto particolari e spesso abbastanza diversi nella forma e nella sostanza da quelli che si possono rinvenire in altri Paesi, soprattutto del nord Europa e degli Stati Uniti. È stato segnalato che sarebbe necessario chiarire una serie di questioni preliminari piuttosto difficili per avere un dialogo con la chiesa cattolica; che questo atteggiamento non significa preclusione a priori del dialogo o antiecumenismo per partito preso. Ma soprattutto è stata sottolineata l’importanza di una maggiore informazione sulle reali posizioni delle chiese pentecostali e delle ragioni di queste posizioni. Queste puntualizzazioni hanno riscosso molto interesse da parte di tutti i presenti che si sono complimentati per il fatto che in Italia esiste finalmente un’istituzione accademica nel mondo pentecostale in grado di elaborare e proporre temi di rilevanza teologica anche di livello internazionale.

 

 

 

 

 

 

 

Di particolare intensità sono stati anche i momenti di celebrazione cultuale comune; è stata un’esperienza particolarmente coinvolgente vedere questo gruppo di uomini e donne (abituati a lavorare con strumenti intellettuali raffinati e a confrontarsi con le esigenze della ricerca e della cultura) pregare, cantare e alzare le mani al cielo per invocare la presenza e la guida dello Spirito non solo sui lavori in atto, ma anche sulla propria vita e sul proprio lavoro quotidiano. Un esempio di come teologia e spiritualità possano tenersi per mano anche e forse soprattutto in una dimensione pentecostale della fede cristiana.