Il 25 novembre si ricorda il terribile assassinio delle sorelle Mirabal avvenuto durante il regime domenicano di Rafael Leonidas Trujillo nel 1960. Dal 1999 l’ONU ha reso istituzionale questa giornata, invitando governi, organizzazioni e media a sensibilizzare la società sulla violenza di genere.

Parlare di una specifica forma di violenza, quella contro le donne, in un tempo come quello attuale dove la violenza generalizzata e senza alcuna giustificazione sembra essere la connotazione principale del mondo in cui viviamo, potrebbe essere giudicato come un esercizio di distrazione o perfino superficiale; invece, a ben guardare, è proprio partendo dal riflettere su questa forma di violenza che si può cercare la via di una qualche comprensione delle ragioni della violenza in se. Ma è solo un tentativo perché la violenza è irrazionale anche quando premeditata e programmata; appartiene al lato oscuro dell’umanità, non è istintuale (con buona pace di tutte le teorie che lo sostengono). C’è solo una parola per definirla in modo adeguato ancorché approssimativo: è diabolica. Solo un nemico dell’umanità può produrre e praticare violenza.

Vi sono molte forme di violenza; sono tutte forme contestualizzate: violenza politica, religiosa, razziale, sessuale, ecc. E in tutti questi ambiti si parte da forme di discriminazione. Ma quella contro le donne è trasversale a tutte queste forme particolari; vale a dire che ogni qualvolta si produce uno stato di violenza le donne subiscono prima di tutti e più di tutti. E quando si vogliono imporre regimi autoritari con la violenza si comincia a rendere la vita difficile alle donne. Ma quello che veramente risulta inspiegabile è il fatto che in occidente dove lo stato di diritto rappresenta un’alta conquista civile, morale e spirituale, si perpetra contro le donne una discriminazione e una violenza giornaliere senza tregua. I dati ISTAT dicono che in Italia in media perde la vita una donna ogni due giorni: nel 2013 sono state 179; si stima che complessivamente quelle che hanno subito violenza durante la loro vita siano quasi sette milioni: oltre il 20% del totale. Immaginiamo questi dati rilevati in tutto il mondo: è una cosa insopportabile! E sembra che non si riesca a porre argine a questa deriva morale e spirituale. Questa del 25 novembre è una delle ricorrenze mondiali che riguardano le donne; poi c’è quella dell’8 marzo (giornata internazionale della donna) e poi ci sono altre feste che le riguardano indirettamente. Da ricordare anche che l’ONU ha dedicato una decade alle donne (1976-1985). Insomma, occasioni per riflettere e cambiare marcia ce se sono state e ce ne sono. E allora perché il fenomeno sembra inarrestabile e senza soluzione?

Analisi e controanalisi di ogni genere si producono ogni giorno e tutte sembrano indicare qualche elemento di verità; sforzi giuridici ne sono stati fatti (si pensi alla legge contro lo stalking). Ma i dati dicono che la gran parte di queste aberrazioni si consumano dentro le mura domestiche. In casa: il luogo dove ogni essere umano dovrebbe sentirsi protetto al massimo, almeno nel nostro tempo, dove ci sono tanti strumenti per rendere sicura la casa e mettere al sicuro quelli che vi abitano; almeno oggi. Già, perché qualcuno sussurra che queste cose sono sempre accadute in casa, ma non venivano denunciate come molto spesso ancora oggi accade; adesso una piccola parte di questa realtà sommersa viene fuori e ci sembra inaudita. Senza contare che il 65 % dei figli di donne che hanno subito violenza in casa hanno assistito ai fatti relativi. E allora chiedersi: perché accade? diventa ancora più urgente. E insieme a questa domanda ce n’è un’altra che non si può eludere: cosa possono fare le chiese per dare il proprio contributo alla soluzione di questa tragedia?

Le chiese debbono porsi questa domanda perché qualche responsabilità nel passato l’hanno maturata: quando non hanno difeso le donne da uomini prepotenti e malvagi, quando hanno predicato la subordinazione della donna all’uomo, quando hanno insegnato che le donne non avevano un’anima, quando ritenevano che fosse meglio non mandarle a scuola, quando non hanno contestato il loro sfruttamento nel lavoro, quando non hanno difeso il loro diritto a votare, quando hanno sostenuto che non avevano gli stessi diritti degli uomini. E tanto altro. In forme diverse, in tempi diversi, in contesti diversi, tutte le chiese hanno maturato responsabilità in questo senso. Quella che oggi si indica come una caratteristica del mondo islamico o di altri mondi influenzati da religioni diverse da quella cristiana, è stata per secoli una caratteristica del mondo cristiano. E in diverse parti del mondo queste responsabilità sono tuttora vigenti. Anche nell’evoluto, ricco e altezzoso occidente orgoglioso della propria civiltà, tanti ambienti cristiani più o meno dichiaratamente continuano ad usare categorie di pensiero e linguaggi che vanno in questa direzione: anche se paludati e sofisticati. Non manca neppure chi tenta di addossare la responsabilità alle stesse donne! O perché pretendono troppo e perché pretendono troppo poco; ma in entrambi i casi nessuno si chiede perché le donne devono essere costrette a pretendere qualcosa. Non c’è dubbio: le chiese hanno la loro responsabilità; anche perché, seguendo le legge dei grandi numeri, è impossibile che la domenica non vada in chiesa qualcuno o qualcuna che abbia avuto a che fare con questa miserevole realtà. Eppure il Vangelo non dice così; la fede vissuta delle comunità cristiane non si pone così; l’esperienza dello Spirito Santo che caratterizza il cristianesimo carismatico contemporaneo non permette questo.

Non è il caso di addentrarsi in dispute esegetiche per vedere come vanno intesi certi testi biblici o in quelle filosofico/teologiche su ruoli naturali, creazionali e cose del genere; anche se probabilmente andrebbero dette parole definitive su certe forme di ignoranza che ancora dilagano impunemente nelle chiese. L’ignoranza è condannata senza appello dalla rivelazione biblica; la stessa rivelazione è tale perché vuole superare l’ignoranza. Non è un caso che la discriminazione e la violenza hanno tra le cause principali l’ignoranza. È tempo che uomini e donne nelle comunità cristiane si ritrovino insieme a riflettere su queste cose; con coraggio, senza mezzi termini e senza infingimenti. È tempo che le donne trovino più compagni di strada tra gli uomini per affrontare questi dilemmi e che gli uomini adempiano ad un compito spirituale preciso: quello di essere a fianco delle donne. Ma soprattutto è necessario che uomini parlino ad altri uomini e che insieme si interroghino molto seriamente sulle ragioni di questa diabolica avversione alle donne che li vede coinvolti da protagonisti; le implicazioni spirituali di questa faccenda sono molte e delicate e gli uomini cristiani non possono sottrarsi a questa responsabilità. Ed è tempo che dai pulpiti, occupati ancora in grande maggioranza da uomini, si dica qualcosa di più a tale riguardo; o almeno che si dica qualcosa.

 

a cura della segreteria FCP