Il 24 marzo 1944 alle “Fosse Ardeatine”, antiche cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina, furono massacrate 335 persone; l’eccidio fu perpetrato dalle truppe di occupazione tedesche come rappresaglia per un attacco partigiano che aveva causato la morte di 33 militari tedeschi. Infatti, la rappresaglia nazista stabilì che per ogni tedesco ucciso avrebbero pagato con la vita dieci italiani scelti tra i detenuti politici e comuni di Regina Coeli e del carcere di via Tasso. Fu il comandante delle SS, Herbert Kappler, che compilò la lista delle vittime e che quattro anni più tardi nel corso del processo a suo carico raccontò la dinamica di questa strage. Erroneamente, per la fretta di completare l’elenco delle vittime e di eseguire la rappresaglia, furono aggiunte 5 persone in più. I cinque malcapitati in più nell’elenco furono uccisi con gli altri perché se fossero tornati liberi avrebbero potuto raccontare quello che era successo.
Le Fosse furono scelte quali luogo dell’esecuzione per occultare i cadaveri degli uccisi; i tedeschi, infatti, dopo aver compiuto il massacro fecero esplodere numerose mine per far crollare le cave e rendere più difficoltosa la scoperta della strage. Un trafiletto su Il Messaggero del giorno dopo notificò al mondo che il massacro era stato compiuto. Da notare che i compagni dei soldati tedeschi che erano morti nell’attentato si rifiutarono di eseguire la rappresaglia perché ritennero inaccettabile vendicare i loro compagni con una tale azione. Perciò fu eseguita da altri soldati. Nel dopoguerra le Fosse sono state trasformate in un sacrario-monumento nazionale. Sono oggi visitabili e luogo di cerimonie pubbliche in memoria.

Tra le vittime dell’eccidio ci fu anche Fidardo De Simoni (1898-1944), cristiano evangelico pentecostale che, trovandosi in stato di detenzione a Regina Coeli, fu incluso nella lista delle vittime. Fidardo era stato condotto in carcere per aver dato ospitalità a due soldati inglesi, ma di certo la sua posizione era stata aggravata dal fatto di essere pentecostale; infatti, le chiese pentecostali e i loro membri erano diventati uno dei bersagli preferiti del regime fascista a partire dal 1935, quando il sottosegretario del Ministero dell’Interno Buffarini Guidi aveva emanato una circolare con la quale dichiarava le chiese pentecostali e i suoi membri “nocivi all’integrità fisica e psichica della razza”. Ben prima dei gravissimi provvedimenti razziali contro gli ebrei, il regime faceva prove di persecuzione in nome della razza contro gli inermi e pacifici pentecostali.
Sebbene l’ostilità del regime contro i pentecostali sia un capitolo di storia piuttosto studiato e documentato, rimane ancora avvolto nel mistero il movente vero di tale atteggiamento; infatti, a seguito di numerose informative inviate dagli organi periferici di polizia al Ministero e tese a rassicurare sull’attività dei pentecostali, faceva da controaltare l’insistenza degli organi centrali ad approfondire le indagini, quasi come se si volesse ad ogni costo trovare qualcosa a cui appigliarsi per giustificare un provvedimento come quello che poi arrivò con la circolare e che fu reiterato nel 1939 e nel 1940. Per quali motivi poche migliaia di persone disseminate nelle campagne e tra le montagne del sud, poveri contadini e artigiani spesso analfabeti o quasi e senza alcuna cognizione di impegno politico, preoccupavano tanto un regime così arcigno e consolidato come quello fascista degli anni Trenta? Erano solo preoccupazioni politiche o c’era altro dietro?
La circolare Buffarini Guidi fu ritirata dal Ministero solo nel 1955 con una nota riservata ai prefetti; e fino ad allora, a Repubblica impiantata e a Costituzione emanata, fu fatta valere in modo aspro contro i pentecostali. Altro mistero della storia!