È ormai tristemente noto il parere n. 561/2012 con cui il Consiglio di Stato, rispondendo ad un’istanza del Ministero dell’Interno, lega l’approvazione della nomina di un ministro di culto ai sensi della legislazione 1929/30 alla consistenza numerica della comunità nella quale il ministro esercita il suo servizio. Con un ragionamento che lede di fatto e di diritto elementari norme costituzionali l’estensore del parere delimita l’ambito entro il quale può essere ratificata la nomina da parte del Ministero: 500 membri sono il minimo indispensabile per una comunità locale; se poi il ministro opera all’interno di una organizzazione di rilevanza nazionale, allora le ratifiche delle nomine possono essere concesse nell’ordine di una ogni 5.000 membri. E per aggirare le eventuali obiezioni sulla difficoltà di contabilizzare i membri di una comunità religiosa, viste le stringenti normative sulla privacy, si lascia la possibilità che siano i membri stessi della comunità a dichiarare la loro appartenenza con un’autodichiarazione: in altri tempi la si sarebbe definita ‘autodenuncia’!
La logica da stato di polizia che sottintende l’intero dispositivo in parte è in linea con l’atteggiamento che da sempre vige nel nostro Paese nei confronti delle minoranze religiose (vale a dire che sono comunità da tenere sotto controllo: non importa chi sono, cosa fanno e cosa credono); dall’altra, probabilmente riflettono la personale formazione dell’estensore, essendo stato il Consigliere relatore Comandante generale dell’arma dei Carabinieri e poi Direttore del Servizio investigativo segreto militare prima di giungere alla I sezione del Consiglio di Stato. Chi meglio di un funzionario con tale curriculum poteva occuparsi di minoranze religiose? Tanto più che due mesi dopo l’estensione di questo parere ha lasciato l’incarico.
Di commenti negativi su questo parere ne sono già stati espressi diversi. In allegato proponiamo un’analisi recente del Prof. Pierluigi Consorti, docente ordinario di diritto canonico e diritto ecclesiastico presso l’Università di Pisa, apparsa su “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica” n. 3/2013. Con la speranza che qualcuno a cui spetta questo tipo di decisioni intervenga per correggere questo monstrum.