Ogni Comune deve prevedere spazi per moschee e luoghi di culto delle varie confessioni religiose: in sintesi è quanto all’inizio dell’anno ha sentenziato il TAR di Brescia accogliendo il ricorso di un’associazione islamica locale. Bocciato così il Comune che, nel suo Piano di governo del territorio (Pgt, il vecchio “piano regolatore”), aveva previsto oratori e campanili ma aveva escluso la possibilità di costruire moschee, templi buddhisti, chiese pentecostali e così via.

Nella visione e nell’intenzione degli amministratori locali Brixia fidelis era e resta una città cattolica che non prevede spazi per le altre confessioni religiose. Il TAR ha però corretto questa interpretazione facendo valere le norme costituzionali secondo le quali “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere di fronte alla legge” (art. 8) e “tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume” (art. 19). Un boccone amaro per la giunta di centrosinistra: solo qualche mese fa si era insediata dopo aver clamorosamente sconfitto il centrodestra responsabile del Pgt ed oggi si trova sullo stesso banco degli accusati sul quale da decenni siedono i leghisti, da sempre impegnati in una rumorosa guerra “alle moschee” che in realtà si intende rivolta a tutti i luoghi di culto non cattolici frequentati in prevalenza o interamente da immigrati. Per parte sua, la comunità islamica si era prontamente mobilitata e aveva denunciato l’incostituzionalità della negazione di spazi pubblici destinati alle numerose comunità di fede che negli ultimi venti anni si sono insediate a Brescia, la città – va ricordato – con una concentrazione di immigrati tra le più alte d’Italia.

Non è affatto la prima volta che a correggere interpretazioni restrittive ed escludenti in materia di libertà religiosa e parità dei diritti tra le varie confessioni intervenga un tribunale. I precedenti sono molti e giuridicamente rilevanti, a iniziare da storiche sentenze della Corte Costituzionale in materia di laicità dello Stato.

Che su una materia delicata e rilevante come la libertà religiosa e di culto debbano periodicamente intervenire i tribunali, resta però una grave anomalia che denuncia i ritardi colpevoli delle forze politiche. Tutte. Se la Lega Nord ha fatto dell’esclusione e del pregiudizio anti-islamico e xenofobo la sua bandiera, va comunque denunciata l’incapacità delle forze moderate del centrodestra e di gran parte del centrosinistra di proporre e sostenere un discorso alternativo, costituzionalmente fondato e, soprattutto, operoso, capace cioè di fare piazza pulita delle foglie secche di retaggi confessionalisti e privilegiari per approvare nuove norme in materia di libertà religiosa, di culto e di coscienza: è il tema urgente di una nuova legge sulla libertà religiosa e di coscienza che da anni impegna la Federazione delle chiese evangeliche in Italia così come altre espressioni confessionali e culturali.

Ma se la Lega ha la gravissima responsabilità di promuovere un’impresa culturale e politica che alimenta pregiudizi ed esclusioni, le altre grandi forze politiche – salvo qualche personalità generalmente poco ascoltata – preferiscono ignorare un tema che invece ha una crescente rilevanza culturale e sociale.

Da anni, ad esempio, in Lombardia vige una norma regionale altrettanto discriminatoria del Pgt bresciano che impedisce la “conversione d’uso” per luoghi che si intende adibire al culto (legge 12, art. 52 comma tre bis). Vale a dire che una comunità religiosa che acquisisce un locale, sia pure pienamente a norma in materia di sicurezza che però “nasce” con altra finalità, ad esempio un cinema o un supermercato, non può ricevere dal Comune l’autorizzazione all’utilizzo per finalità di culto. Se una comunità vuole aprire un luogo di culto se lo deve costruire chiedendo regolare licenza, ma per ottenere la licenza occorre che ci sia un’area destinata nel Pgt, che però, come nel caso di Brescia, in gran parte dei Comuni della Lombardia (e non solo) non è prevista. Carenza che nei fatti produce un divieto.

La sentenza del tribunale bresciano ristabilisce un fondamentale principio costituzionale ma, a leggerla in un contesto più ampio, ci dice che la classe dirigente – a partire da quella locale che dovrebbe avere sensibilità e legami territoriali più forti – non ha ancora compreso la portata del cambiamento sociale e culturale in atto. Soprattutto non ha capito che moschee e gurdwara sikh, chiese e sale del Regno, templi e sinagoghe non impoveriscono il territorio ma al contrario lo arricchiscono, perché sono luoghi in cui tante persone – italiani e immigrati – si incontrano, si sostengono, formano i loro figli, rafforzano legami di solidarietà. Per fortuna lo afferma un tribunale ma come cittadini di uno stato democratico ci aspetteremmo che lo riconoscesse anche chi ci amministra e ci governa.

di Paolo Naso, politologo e coordinatore della Commissione studi della FCEI

(nev-notizie evangeliche 1-2/2014)